ANTROPOLAROID

Descrizione

Definire Antropolaroid non è semplice: ad oggi non c’è nulla di paragonabile al lavoro originalissimo di Granata.
Forse dovremmo chiamare in causa Charlie Chaplin, ma anche il teatro dei racconti e della terra sicula o semplicemente un lavoro sull’immaginazione, la musica, la memoria.

 Antropolaroid, spettacolo di cupa bellezza, struggente, attraversato da un’inquietudine dolorosa, dove a tratti si coglie ugualmente, amaramente, l’occasione di ridere, per la caratterizzazione dei personaggi, il loro susseguirsi sulla scena, per l’abilità stessa dell’attore nel trasformarsi: tante le metamorfosi.

Straordinario Tindaro Granata da solo racconta di figure familiari, di generazioni, di una terra, la Sicilia, da cui anche allontanarsi. Con il proposito di andare a Roma, diventare attore, fare del cinema … Perché dentro questo spettacolo ad alta condensazione ed intelligenza teatrale, ci sono , rielaborate con molta sensibilità, schegge di storia dello stesso interprete in scena, con quel titolo che fonde insieme la ricerca antropologica con lo scatto fotografico, la memoria trattenuta nell’immagine, racconto tramandato, vissuto profondamente. Antropolaroid è creazione teatrale colma di molte emozioni, per il testo, la recitazione, per la concretezza e l’universalità della narrazione, il ritmo avvolgente.

Tindaro Granata passa attraverso i decenni in molteplici ruoli, ad ogni età, maschio o femmina, tra giochi, balli, lavoro, relazioni familiari, paure, brevi passaggi ogni volta a comporre dialoghi, legami, situazioni, lui solo e tanti . La novità di uno spettacolo come Antropolaroid sta nell’utilizzo di una tecnica, antica, come quella del “cunto”, che viene scomposta e il meccanismo del racconto viene sostituito dalla messa in scena dei dialoghi tra i personaggi del racconto. Non vengono narrati i fatti, ma i personaggi parlano tra di loro e danno vita alla storia.

Data

13 August - Ore 23:00

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Reviews

Rumor(s)cena - Roberto Rinaldi

Tindaro Granata sceglie con intelligenza di raccontare la sua vita e quella della sua famiglia con ironia utilizzando tutti i registri a sua disposizione. Facendo così,sdrammatizza gli eventi che altrimenti potevano risultare carichi di retorica e sminuire la leggerezza che si coglie dal principio alla fine.

 L’attore – autore attraverso la rievocazione biografica della sua famiglia, crea un’atmosfera astratta che prende vita, attraverso le emozioni che arrivavano al pubblico, mutuandole attraverso una gestualità espressiva, fisica. All’attore basta un lenzuolo e una sedia, rivoltare una maglietta sulla testa che diventa a turno, la vedova, la nonna, la zia disabile con un difetto alla gamba che danza e la insegna anche ad un suo famigliare colpito in tenera età dalla meningite.

Sono ritratti avvolti da un umorismo dalle mille sfumature pirandelliane, a cui dà la voce, sempre misurato senza cedere mai al facile registro comico, dove l’interpretazione affronta il siciliano stretto fino a stemperarsi in un linguaggio comprensibile e adattato ai giorni nostri.

Sono tutte polaroid scattate con semplicità senza dover ricorrere ad artifici ed effetti speciali, in bianco e nero, dove la luce rischiara a tratti l’oscurità e segna con una lampadina che scorre via “illuminando” la scena finale che chiude la storia come un cerchio: il suicidio del miglior amico di Tindaro, sconvolto dalla notizia che il padre è un mafioso, evocata con una sensibilità tale da commuovere il pubblico.

 


 

La Repubblica - Anna Bandettini

L’intreccio è ben costruito, strutturato cronologicamente ma anche con flash back, dal nonno Francesco che preferisce impiccarsi piuttosto che morire di cancro, all’amico di Tindaro, figlio del mafioso Badalamenti che si impicca per via del padre.

E’ scritto molto bene, ben ritmato, tra siciliano e italiano dialettale, e anche nel passaggio dall’una all’altra voce. In mezzo a tutti questi personaggi c’è Tindaro, che li fa tutti, il nonno, il padre, la nonna e bisnonna, la mamma, zia Peppina, le sorelle, gli amici: solo in scena, con una sedia, alterna voci, posture, espressioni, con abilità e leggerezza. E anche quando pare ancora acerbo, digiuno di preparazione accademica, il suo riferimento va alla tradizione del “cunto” più che del teatro
narrazione da cui si distacca per l’energia espressiva, vocale e fisica.

 


 

La Repubblica - Simona Spaventa

Quattro generazioni di una famiglia siciliana, la sua, prendono vita nel bel monologo del trentenne Tindaro Granata, autore e attore grottesco, capace di trasformarsi in avi suicidi,
bisnonne rancorose, zie zitelle e nonni disoccupati. Cunto e mimo, comico e tragico, gestualità e melodramma si mescolano nel ricreare un mondo arcaico e immobile, dove tutto è
condannato a ripetersi.


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